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Giuseppe Clemente Rosi

Giuseppe Clemente Rosi

Merlino (Lodi) 6 ottobre 1939 – 1970 - Soncino (CR) 13 luglio 2011

Ho sempre dedicato molto tempo ai giovani, per aiutarli a crescere nella fede
E in parrocchia?
Faccio la catechesi agli adolescenti di primo e secondo anno delle scuole superiori; inoltre alcuni giovani, trascorrono le serate a casa mia, perchè nel nostro piccolo paese non hanno luoghi dove frequentarsi. Per loro è importante ritrovarsi e parlare, assieme organizziamo qualche gita sulla neve o in montagna d’estate, partecipiamo alle iniziative della diocesi, la veglia missionaria, la giornata dei giovani ecc.
Come sei arrivato all’Istituto?
Ho iniziato a partecipare agli Esercisi Spirituali quando avevo sedici anni, per quattro anni andai a Triuggio, poi un padre gesuita mi disse: “perché non vieni da noi?” Ero alla ricerca di Dio, di una intimità col Signore, dopo un anno decisi di accogliere l'invito. Dopo quattro mesi mi accorsi di non sentirmi a mio agio, mi sembrava di essere in gabbia e avvertivo una sensazione di nostalgia. Sono tornato a casa facendo la felicità di mia mamma che era rimasta sola dopo che i miei fratelli si erano sposati. Continuavo ad andare a Triuggio, ero sempre in ricerca e non pensavo di sposarmi. Il mio assistente, un giovane prete, mi condusse alla Cattolica a parlare con Ezio Franceschini, Rettore della Università nonché presidente di un istituto secolare, il quale, dopo avermi ascoltato, mi disse di tornare dopo aver fatto il militare. Ricordo che tornai a casa un po’ triste, perchè avevo capito cos’era la consacrazione secolare ed ero entusiasta di iniziare quel cammino. Il mio assistente però mi consolò: “E’ la volontà di Dio, se ci sono ostacoli è meglio, non preoccuparti!” A Triuggio il padre Donadoni mi disse: “perché non vai dai lazzatini?” e mi diede un biglietto di presentazione. Mi piace nell’Istituto il massimo senso di libertà, nel decidere, nel pensare e poi anche la libertà che consente ad ognuno di avere una propria forma di vita. Fare il proprio lavoro, portare avanti i propri impegni e poi l’aiuto a sviluppare la vita cristiana e il battesimo.
Cosa apprezzi ancora nell’Istituto?
Il rispetto dell’individuo, io ho un carattere piuttosto indipendente. Anche i colloqui col prof. Lazzati mi hanno dato questa prova di grande rispetto per la mia vita. Ogni tanto mi girano nella testa le fisionomie degli amici dell’Istituto. C’è la comunità, io la sento che c’è, anche se viviamo ognuno nella sua abitazione, saranno forse i ritiri, gli incontri. Non è soltanto a livello spirituale, quando ci vediamo, sarà lo stesso spirito che ci anima, sembra che ci siamo visti il giorno prima.
Per te la povertà è un valore primario?
Sì certamente, noi dobbiamo avere i mezzi che ha la gente comune. A volte siamo qua in dieci attorno a questo tavolo e cosa fai, metti in mezzo una bottiglia con acqua di rubinetto? No, compro la coca cola e le patatine o altre cose da sgranocchiare, oppure una bottiglia di spumante quando si fa festa. Forse va contro la povertà, talvolta capisco che esco dal mio budget, ma lo faccio per accogliere bene la gente. Se vengono qua è perché si trovano bene accolti. Vedi io non ho la televisione e ogni tanto i ragazzi mi dicono che dovrei acquistarne una ma, io penso che mi farebbe perdere un sacco di tempo; quando guardi la TV non puoi fare più niente. Allora dico loro: “è meglio leggere e parlare con la gente piuttosto che fossilizzarsi davanti alla TV”.
(da una intervista a Clemente del 1997)

Per festeggiare il 60° compleanno di Clemente, fu organizzata, in gran segreto e senza dire nulla a Clemente, una cena. C’erano amici del paese, compagni di lavoro, il sindaco di Settala, comune dove lavorava il nostro festeggiato, probabilmente più di settanta invitati. Ad un certo punto della serata, un giovane rivolge a Clemente un discorso:
Caro Clemente. Sappiamo già cosa stai pensando: "Non dovevate, avete speso soldi per niente, non voglio la televisione, non voglio il telefonino". Non meravigliarti stasera, di trovare tutti i tuoi ragazzi insieme ma, sentiamo di doverti ringraziare. Ognuno di noi ha per te un affetto speciale, tu sei stato per noi e lo sei tuttora nel tuo costante impegno per i giovani, il nostro punto di riferimento, l’amico sempre disponibile, l’amico che ci ha insegnato i veri valori della vita, l’amico che ci ha insegnato ad avere fiducia in noi stessi, ci hai accettato per quello che eravamo.
In tutti questi anni, tu ci hai nutriti, non solo con la tua saggezza, la tua umiltà, la tua generosità, ma anche nel vero senso della parola. Casa tua era il nostro Pub dove ci offrivi ogni ben di Dio, con la sola penalità: la recita delle orazioni della sera, seguita da una breve omelia!
E cosa dire dei vari campeggi, le settimane bianche, le castagnate, le escursioni? La tua agenzia offriva di tutto: angurie vaganti, essenza di calzettoni portati per quindici giorni, pulmino agonizzante, il contratto con la fabbrica del tonno riomare , zaini dimenticati sui treni, nasi sanguinanti, causa una palla di neve, fughe improvvise in quel di Monaco all’Oktober fest…
Noi possiamo solo dirti che la nostra vita, specialmente nell’adolescenza, non avrebbe avuto lo stesso significato, la stessa impronta, lo stesso scopo che questa sera ha unito generazioni diverse, tutte qui riunite in una sola voce per dirti: “Ti vogliamo tanto bene!”.

 

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