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Battista Meroni

Battista Meroni

Milano 12 aprile 1912 – 1939 - Rho (MI) 30 aprile 1993

Era un uomo buono di cui ti potevi fidare ciecamente. Lo trovavi sempre disponibile, ti ascoltava, ti abbracciava... A lui potevi dire tutto, “le gioie, i dolori, le fatiche e le speranze”. Era un vero fratello maggiore. E alla fine dell’incontro arrivava il consiglio, il parere, anche il giudizio e sempre in milanese. Più che dirtelo, nella sua grande delicatezza, te Io faceva capire ma in modo chiaro e schietto, manifestando il suo modo di vedere la questione e lasciandoti la libertà di interpretare concretamente le scelte da fare. E ti sentivi arricchito come non mai.
Alle ACLI (Associazioni Cristiane Lavoratori Italiani), di cui è stato per tanti anni l’amministratore era diventato una vera colonna portante; Clerici era l’ideologo, il leader; Don Rai, il grande animatore ed anche sognatore; Battista invece era le ACLI ordinarie, comuni, reali, quotidiane. Era stato Clerici, il Presidente di ferro, a volerlo in quel posto di grande responsabilità. Quanto tempo prima di convincerlo, Meroni non voleva accettare. Da una parte non si sentiva all’altezza dell’incarico e dall’altra rifuggiva con ostinazione dalle cariche.
E invece, dimostrò di avere competenza e gran buon senso; chiedeva il parere di tutti, sapeva poi scegliere i consiglieri ed i consigli. La sua linea definitiva era: uno stile dignitoso sì, ma non lussuoso; sembrava proprio una brava formica: “Perché buttare questa cosa, conviene conservarla potrà ancora servire”. Era lo stesso metro che usava per sé, per la sua persona; i suoi vestiti, i paltò, i guanti, il berretto... erano vecchi e di stile antico, ma portati sempre con grande dignità.
Quasi leggendari erano i racconti della sua vita di giovane operaio alla “Fabbrica biciclette Bianchi”. Molto giovane fu costretto dalla non facile situazione familiare ad entrare in fabbrica per un piccolo salario in più da portare a casa. E raccontava la sua esperienza di lavoro, coi compagni, col suo Capo e le dure condizioni degli operai. Sembrano piccole cose, quadretti di vita degli anni venti ma c’era più sostanza in quei ricordi di vita vissuta che in un trattato di sociologia e di organizzazione aziendale. La solidarietà, il rispetto, l’aiuto reciproco tra gli operai; quel mondo, il mondo del lavoro, è stato proprio un “grande amore” della sua vita.
Battista amava l'Eremo di San Salvatore e ci andava spesso, in quel luogo si poteva osservare il fervore con cui egli sapeva pregare. Era quasi rannicchiato su uno sgabello, in adorazione, pregando sottovoce, a capo chino per non distrarsi, compreso, nella e della sua forte fede, in ciò che di tremendamente importante stava accadendo in lui.
Anche quando le forze lo avevano abbandonato, il suo spirito di sacrificio e servizio lo spingeva all'Eremo e quando entravi nell'atrio c'era lui come una sentinella, ad accoglierti sorridente con le mani alzate per darti il benvenuto.

 

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