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Giovanni Tenderini

Giovanni Tenderini

Chivasso (TO) 23 gennaio 1909 – 1945 - Lecco 11 ottobre 1974

Appariva modesto nei modi e nelle parole, in realtà, ora che amiamo pensarlo nella gioia del Paradiso, lumeggiarne la figura riesce quasi un non facile lavoro per la ricchezza, ai più sconosciuta, della sua profonda spiritualità. Essa potrebbe emergere con qualche evidenza, solo si riuscisse a ricostruire i nostri incontri con lui, i più e i meno salienti e dovremmo completare questi frammenti più o meno vistosi, legandoli tra loro con una meditata lettura delle pagine cui affidava quanto lo Spirito gli suggeriva, ma in modo particolare quelli che egli chiamava «propositi». Ma anche così il mosaico risulterebbe incompleto. Non tanto però da non farci capire che vi deve essere stato un momento, nella prima giovinezza, in cui Giovanni si presentò al Signore e gli disse: «eccomi, sono a tua disposizione». Annotava egli in un ritiro dell’ agosto 1939 «Signore riempi il mio cuore solo di te, voglio santificarmi, voglio, voglio, voglio».
Non ci si propone di percorrere ora tutte le tappe della sua vita; risulterebbe perfino inutile, perché il suo « stile», con un crescendo di maturazione che l’accompagnò fino alla morte, rimase sempre il medesimo: fedeltà. In qualsiasi cosa venisse coinvolto (venisse, perché di sua iniziativa non ci si metteva), si trattasse del lavoro, della parrocchia o dell’ Istituto, si riteneva sempre l’ultimo, il meno capace, il meno degno.
Possedeva cioè quell’atteggiamento di povero, di povero del Signore, di essere nulla, di valere nulla (lo scrive spesso di se stesso), che si sentiva a suo agio soltanto quando si trovava a svolgere incombenze le più umili. Se meglio prendiamo in esame quella che fu la sua attività, dagli anni giovanili trascorsi all’oratorio, a Villa San Benedetto, al Pensionato Sant’Ambrogio, alla Casa del Cieco di Civate, a San Salvatore, possiamo sintetizzarla così: servizio ai fratelli quale conseguenza del suo amore per il Signore. Si trattasse di giovani dell’oratorio, di operai e studenti, dei ciechi, di fratelli dell’ Istituto, e, negli ultimi anni della sua vita, ancora di giovani, a San Salvatore, la sua disponibilità fu sempre senza riserve. Ogni parola, ogni azione, ogni intervento nelle conversazioni, portava il segno di una ben custodita delicatezza, sì da sembrare quasi di voler chiedere scusa per l’aiuto che prestava.
Era un uomo di profonda vita interiore. Da fatti, cose e circostanze, sapeva trarne gli aspetti soprannaturali, vedendo in tutto l’espressione della volontà di Dio. Ecco perché riteneva l’obbedienza un mezzo di santificazione. Quando, molti anni fa, da un certo posto che occupava, venne dimesso perché «troppo evangelico» e dopo qualche mese venne richiamato, considerò il tutto in luce di fede, senza entrare nel merito dell’intera faccenda con commenti o richiesta di spiegazioni. Nessuno di noi può dire di averlo sentito muovere una qualsiasi critica o esprimere delle lamentele. Aveva una carità che copriva tutto, senza nulla giudicare. Troviamo scritto questo proposito «tacerò sempre e mi sottoporrò a tutte quelle umiliazioni che a causa delle mie freddezze dovrò subire nell’Associazione» (parlava dell’ Azione Cattolica). Ed ancora: «starò vigilante per non cadere nel difetto di mormorare e cercherò di soffocare in me quei sentimenti che nutro verso persone non del tutto amiche».
Giovanni non ebbe una vita facile. «O Crux, ave Spes unica», fu una realtà che egli ebbe sempre presente, come, essa croce fu sempre operante nella sua vita. Ebbe a soffrire continui, talvolta inspiegabili malesseri, in quanto alla salute (venne anche riformato al servizio militare per fatti polmonari). Aveva un’accentuata sensibilità per le sofferenze degli altri. Una volta disse a un fratello che rimase colpito dalla profondità del pensiero: «negli occhi spenti dei miei ciechi, vedo l’immagine di Gesù Crocefisso».
Era intimamente legato alla famiglia, ma la componente spirituale ne era la prima ragione. Avrebbe voluto, specialmente per i nipoti, un cristianesimo vissuto più pronunciatamente. Ne parlava talvolta con qualcuno di noi, con accenti di vera sofferenza interiore. Chiuse nel suo cuore, con rassegnato seppur mai spento dolore, un episodio riguardante un nipote venuto meno alla vocazione. Avrà anche in questo, ripensato ai propositi di anni addietro: «vedere negli avvenimenti un disegno di Dio», «essere capace nelle contrarietà, di accettarne con spirito di fede»? Ricerca della perfezione: questa è la realtà che scaturisce continuamente da ogni istante della vita di Giovanni. «Debbo stringere sempre più il vincolo della mia amicizia personale con Gesù Cristo». «Operiamo il bene verso tutti, anche i lontani». «Riprendiamoci sempre con atti di umiltà e di amore». «L’amore di Dio brucia i nostri difetti, come il fuoco brucia la paglia».
Il segreto della vita spirituale di Giovanni, dell’aver saputo vivere intensamente la vita di consacrato, ci pare di scorgerlo nella stima e nella pratica che egli ebbe della preghiera. Potrebbe, questo, costituire un intero capitolo, tanto egli se ne nutriva con abbondanza e, bensì si potrebbe dire, con avidità.
Chi non lo ricorda presente nella Cappella di San Salvatore, nei momenti più impensati, immerso nel buio e nel silenzio, accanto alla porta, in intimo colloquio col Signore? Né disdegnava unirsi alle preghiere dei giovani che, sempre più numerosi, vanno lassù alla ricerca di luce nei vari incontri spirituali.
…«il dono della pietà, che ci deve far rivolgere a Dio come a un Padre, quindi pregare, pregare, pregare». «Se si ama il Signore, la preghiera viene spontanea». «La Preghiera può tutto». «La vita è intessuta di preghiera». «Dobbiamo amare e preferire la preghiera liturgica, Gesù Crocifisso, Gesù Eucaristico, la Vergine». E, in margine a un ritiro: «Maria è Maestra di santità». Non è difficile scoprire che la preghiera di Giovanni fu essenzialmente eucaristica e mariana. Dare ala ad altri nostri pensieri, a questo punto ci porterebbe forse ad adombrare un’esistenza tanto limpida quanto schiva. Ma non si può non estendere, a tutti noi, l’invito che la Chiesa stessa ci rivolge: manteniamo vivo in noi, sempre, il ricordo dei nostri fratelli che ci hanno preceduto nel Regno, «con noi strettamente uniti in Cristo» (L.G. 50). Anche i più umili, i più modesti, ci hanno tracciato una via che sarà sapienza e lungimiranza imitare e seguire, mentre siamo, membri della Chiesa peregrinante, in attesa di raggiungere coloro che «fissano gli occhi pieni di gloria, nei nostri che sono pieni di pianto» (S. Agostino).

Enrico Camurati

 

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